La vicenda del generale Vannacci è stato un caso di scuola: parlare di un libro sgradito, soprattutto se scritto da un autore sconosciuto, non conviene. Si rischia di far risparmiare le spese di promozione. Anche per il romanzo “Dalla stessa parte mi troverai” di Valentina Mira potrebbe valere questa regola, visto che fino al 7 aprile poteva contare su 1.313 copie vendute. Ma l’inserimento nella lista dei dodici volumi candidati al Premio Strega, attribuendogli quindi una rilevanza che, comunque la si pensi sui premi letterari, questi appuntamenti conferiscono e la forma irriguardosa utilizzata nei confronti delle vittime della strage di Acca Larenzia ha reso impossibile l’oblio.
Nel gennaio 1978, nel quartiere Tuscolano di Roma, davanti ad una sede del Movimento Sociale Italiano, furono uccisi tre giovanissimi militanti del Fronte della Gioventù (18,19 e 20 anni): due da un commando di terroristi rossi (mai individuati), il terzo, nella manifestazione successiva, da un colpo di pistola in fronte per mano di un carabiniere (mai individuato). Il romanzo racconta la storia di Mario Scrocca che, arrestato nove anni dopo per le rivelazioni di una pentita che lo indicò tra i responsabili della strage, morì in carcere dopo appena trentasei ore, ufficialmente suicida. Tesi che non ha mai convinto i familiari e comunque, alcuni giorni dopo, Scrocca fu scagionato dall’accusa. Se l’intento era quello di ricordare la morte dell’ex militante di Lotta Continua l’obiettivo è stato raggiunto, seppure calpestando, senza alcuna ‘pietas’, il ricordo dei tre giovani missini.
Infatti, la penna della Mira, convinta che il “neofascismo sia ancora un problema” e fiera della “rivendicazione dell’odio politico”, ha confezionato un’azzardata solfa giustificazionista (“due di loro vengono ammazzati. Gli sparano. Sono anni in cui succede… se frequenti certi ambienti, puoi morire”), oltre che di disprezzo nei confronti delle vittime (“sono i giovani che l’estrema destra alleva in batteria”). Se è comprensibile che Scrocca venga considerato una vittima, fa rabbrividire leggere che la Mira considera l’uccisione di tre giovanissimi, esclusivamente per le loro idee, come “un evento collaterale al racconto”. Inoltre, inserire nel romanzo il racconto della commemorazione del 2008, quando Giorgia Meloni posò una corona di fiori nel luogo della strage, lo trasforma, più o meno consapevolmente, in uno strumento di lotta politica contro l’attuale Governo. Secondo la litania del “fascismo al potere”, con la scrittrice pronta a vestire i panni della nuova musa letteraria dell’antifascismo, fino all’esaltazione di quello militante.
Erano anni terribili, caratterizzati da una strisciante ‘guerra civile’ tra giovani di opposte fazioni, che ha causato decine di vittime innocenti, tutte meritevoli di un adeguato ricordo. Gli anni di piombo non possono essere trattati con faciloneria e superficialità soprattutto da chi, per motivi anagrafici, ha avuto la fortuna di non averli vissuti. Sottovalutarne la tragicità e non porre tutte le vittime innocenti sullo stesso piano offre un alibi a chi, convinto che i conti con la storia non siano stati fatti adeguatamente nel dopoguerra, ripropone scenari pericolosi.
Come ha scritto Valerio Cutonilli, nel suo volume “Chi sparò ad Acca Larenzia”, “l’eccidio del 7 gennaio 1978 aiuta a comprendere l’estrema complessità delle vicende terroristiche che hanno segnato la vita del nostro paese. Sconsigliando fortemente approcci manichei… perché quella che inizia sui marciapiedi del Tuscolano è una storia maledetta che in qualche modo riguarda tutti”.