La polemica sulle dichiarazioni di Marcello De Angelis, relative alla sentenza per la Strage di Bologna, si avvia mestamente all’archiviazione, con il merito, però, di aver riportato il tema all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica. Perciò, non altrettanto si dovrà fare con il nocciolo di quelle dichiarazioni: il fondato e legittimo dubbio che la verità processuale rappresenti la verità storica.
Posizione più diffusa di quello che possa aver chiarito il post di De Angelis. E proprio per questo, gli organi di comunicazione del pensiero unico hanno organizzato un aggressivo processo alle idee nei confronti del responsabile della comunicazione della Regione Lazio.
Ovviamente, si tratta di dubbi ampiamente diffusi a destra (stendiamo un velo pietoso sui silenzi imbarazzati di tanti in questi giorni…), ma lo sono e lo erano sufficientemente presenti anche a sinistra. Tanto che, quasi 30 anni fa, alcuni esponenti, senza alcuna simpatia per ambienti ‘neofascisti’, diedero vita al Comitato “E se fossero innocenti?”, presentato in una conferenza stampa il 19 luglio 1994.
Uno stralcio dal discorso dei tre promotori in quell’appuntamento coi giornalisti: Mimmo Pinto (ex deputato di Democrazia proletaria, in quota Lotta continua, poi vice presidente nazionale Arci): “Hanno sempre gridato forte la loro estraneità alla strage di Bologna. Non sono stati ascoltati. Forse perché erano di destra. Forse perché una storia come quella di Fioravanti e Mambro non merita attenzione da parte dei garantisti. Abbiamo dei dubbi e vogliamo che non ci siano sentenze precostituite. Bisognava trovare qualche imputato di destra da condannare. Vogliamo capire se basta la testimonianza di un solo testimone, più volte contraddettosi, per poter condannare due persone all’ergastolo”. Carla Rocchi (ex senatrice dei Verdi e della Margherita, ex deputato dell’Ulivo, ex sottosegretario dei Governi Amato e D’Alema): “La storia processuale di Mambro e Fioravanti è una storia di buchi grandi come case. La ragionevole certezza per la condanna è difficilmente evincibile dell’esame dei dati processuali”. Sergio D’Elia (ex terrorista di Prima linea, poi parlamentare radicale, attualmente segretario dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”): “In questo processo prove certe non ci sono, ma labili indizi”.