Mi chiedo per quale strana ragione quando io dovetti ascoltare il duo Grillo-Travaglio coadiuvati dall’ufficiale di collegamento Santoro insultare indifferentemente il professore e senatore Umberto Veronesi chiamato «affarista» e «Cancronesi», il presidente della Repubblica, giudicato inerme e addormentato, e quello del Consiglio chiamato psiconano e ridicolizzato per il suo aspetto fisico, e ancora ministri e parlamentari giudicati mafiosi davanti a una platea di quattro milioni di telespettatori ad Anno zero, il 1° maggio, nessuna anima bella si scandalizzò, non di me che avevo tentato disperatamente di frenarli (come sempre per i sacerdoti del politicamente corretto, sopra le righe), ma di loro che avevano fatto le prove generali della manifestazione dell’8 luglio che oggi vedo quasi da tutti esecrata.
Il giudizio più severo è certo quello del più coinvolto e del più vicino, l’innocente presentatore non moderatore Mattia Stella. Indignato dell’intervento della Guzzanti ha dichiarato: «Era come in preda a una stato di trance, pericoloso per sé e per gli altri. Quando è scesa dal palco sono andato a dirle quel che pensavo, da cristiano: che attaccare il Papa mi sembrava fuori luogo e offensivo per tutti quei cattolici che si sono sacrificati per questo Paese, che l’inferno non si augura a nessuno. E lei: “Che c’entra, io non credo all’inferno, e poi tu chi sei?”. Contro la Carfagna, poi, un moralismo da quattro soldi. Che vergogna. Per una volta ha ragione Berlusconi: monnezza».
Un bel risultato per una manifestazione contro Berlusconi: non aver convinto neanche il ‘conduttore’ scelto da Pancho Pardi. Ovunque si sono lette le imbarazzate dichiarazioni degli organizzatori, lo sconforto di Furio Colombo, l’irritazione diffusa, soprattutto a sinistra per Grillo e la Guzzanti. All’indomani della mia difficile, e non complice partecipazione ad Anno zero, un comunista intelligente e illuminato come Luciano Canfora mi comunicò la sua indignazione parlandomi di «squadrismo». Tornando in piazza ad attaccare assenti, dal presidente della Repubblica al Papa con insulti innominabili, i picchiatori sono riusciti a scandalizzare anche i loro sostenitori. Così oggi si dissocia anche Andrea Camilleri, che pure ha partecipato attivamente alla manifestazione con le sue poesiole incivili. Non è stato, in verità né più persuasivo né più corretto di Grillo e della Guzzanti coll’aggravante di avere dissacrato, oltre che gli avversari, anche la letteratura. Oggi critica aspramente la Guzzanti e ritiene sbagliata l’aggressione alla Carfagna, quanto a Grillo afferma con perfetta lucidità: «Sono sempre stato critico con Grillo e a maggior ragione lo sono ora. La sua è un’azione negativa. È qualunquismo. Io non sono per l’antipolitica: sono per la buona politica. È opportuno mantenere posizioni distanti da quelle di Grillo». Non di meno oggi voterebbe Di Pietro di cui Grillo è l’ideologo.
L’ignoranza si appoggia all’ignoranza. Ma Camilleri è uno scrittore, ha una coscienza civile che passa attraverso la dignità letteraria. Io ho avuto l’opportunità di seguire gli interventi in piazza Navona a partire dal suo attraverso Radio radicale. E prima di compiacermi del suicidio politico civile, oltre che dell’autolesionistica violenza di Grillo e della Guzzanti, molto modesti, anche sul piano dell’interpretazione teatrale, ho sofferto per Camilleri sentendolo pronunciare versi insignificanti, di assoluta banalità e neppure spiritosi. Le sue cinque poesie sono il punto più basso della manifestazione dell’8 luglio. Non poesie e neppure epigrammi, se uno pensa appunto al Pasolini da lui ricordato o al grande scrittore ‘comunista’ Franco Fortini, a Tito Balestra o a Ennio Flaiano. Il degrado della letteratura in Camilleri, e la mortificazione della parola sono più gravi dell’umiliazione della satira di Grillo e della Guzzanti.
Nella prima delle sue pretese poesie colpiscono il «fugace pretesto», il «delirio particolare», l’«ossessione devastante» riferite «ai monomaniaci» ma poi si dice: «Le sue parole scatenanti sono giustizia e giudici». Dal plurale si passa al singolare per l’«ossessione devastante» (in Camilleri) di Berlusconi. Così si devasta anche la grammatica, e si scrivono banalità come «il sorriso gli si muta in un ghigno». Inutile dire che, nella patetica conclusione appare insensato il riferimento a Cesare Lombroso. Come si sa Lombroso si occupava di folli e di folli criminali, non di furbi. L’obiettivo di Camilleri sembra essere quello di offendere comunque. Nella seconda poesiola si continua colla grammatica traballante: si parla di uno, sempre Berlusconi, aggiungendo, ad abundantiam «solo per lui», e si dice «li iscrissero nel registro degli indagati». Poco chiaro anche cosa significhi mandare i Pm «in proscrizione». Nella terza si accostano gli scheletri dentro l’armadio alla cripta dei Cappuccini. Camilleri confonde la cripta dei Cappuccini di Palermo con quella di Roma, infatti a Palermo non vi sono semplici scheletri ma corpi semi imbalsamati e vestiti. Nella quarta, Camilleri dà lezione al Papa. Non si capacita che Ratzinger riceva il presidente del Consiglio italiano, confidando che egli giudichi gli uomini non con il Vangelo ma con il codice penale e assumendo la posizione dell’accusa. Ovviamente assoluzioni e prescrizioni, stabilite dai giudici, per Camilleri come per Travaglio sono condanne. E il suo Papa ideale, sotto la maschera non ha «una tavola di Lombroso», ma la faccia di Di Pietro. Così immedesimato nel suo Papa ideale, Camilleri, pur ammirando Pasolini, che cattolicissimo morì dopo un incontro a pagamento, tocca il punto più basso con: «Non importa che abbia avuto due mogli e che le sgualdrinelle confortino le sue notti». Berlusconi è sempre colpevole, e i divorziati per monsignor Camilleri non possono neanche guardare il Papa che non dovrebbe ricevere Sarkozy ma che ha ricevuto, senza turbare Camilleri, Fidel Castro. Infine Camilleri dimenticando lo «sgualdrinello» Pelosi, nella quinta poesiola, dice Pasolini «grandissimo». E, citandone i versi, nella imperfetta convinzione di stare dalla parte del bene, mentre Berlusconi e Maroni rappresentano il male, non si accorge di riferirli a se stesso: «Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso sarai all’inferno ma ti dirai in paradiso». Povero Camilleri. Pentito (di Grillo, della Guzzanti, di Travaglio) ma non di se stesso e delle ingiurie indirizzate non a Berlusconi, ma alla letteratura.
Vittorio Sgarbi
(da “Il Giornale” – 11 luglio 2008)
Ridicolo. Ma di quali insulti innominabili parla? Dire che Napolitano sembra Morfeo perchè dorme non è un insulto innominabile. Secondo me ha ragione Grillo quando dice che Napolitano sembra Morfeo, dato che vuole firmare leggi come il Lodo-Alfano e la legge che aumenta la pena a un criminale immigrato irregolare rispetto a un criminale italiano a parità di danno. Poi, mentre Bossi minaccia di usare 300’000 fucili Napolitano “auspica” il dialogo. Che Presidente è uno così???!!! La Guzzanti ha dosato male le parole ma il concetto alla base è giusto: un Presidente del Consiglio che va a letto con donne che dopo nomina ministre, a spese nostre, è uno scandalo vergognoso. E poi basta con queste accuse di qualunquismo. Qualunquismo è dire “sono tutti ladri” ma se Grillo fa nomi e cognomi per quale motivo dovrebbe essere qualunquismo anche questo? Poi ci si scandalizza sulla parola “affarista” rivolta a Veronesi ma non ci si sofferma nemmeno un momento su quello che Grillo ha detto. E cioè, Veronesi a “Che tempo che fa” ha dichiarato che gli inceneritori sono innocui per la salute dei cittadini. Il problema sollevato da Grillo è che la fondazione di Veronesi è finanziata da compagnie petrolifere e da una società francese che costruisce inceneritori. Dov è l’insulto innominabile? Bisogna smettere di guardare il dito anzichè la luna da esso indicata.