E siamo alle solite. Il governo si è insediato da nemmeno due mesi che già Berlusconi propone e impone la consueta legge ‘ad personam’, fatta su misura per salvarlo da quelli che vengono pudicamente chiamati i suoi «guai giudiziari». È un dejavù. Ma questa volta la legge è talmente scombicchierata, sconclusionata, assurda, irragionevole, irrazionale, spudorata e, soprattutto, devastante per l’intero ordinamento giudiziario e per il convivere civile che si stenta a credere che due senatori abbiano osato proporla, un governo e un ministro della Giustizia l’abbiano fatta propria, una maggioranza l’abbia sostenuta e un Parlamento l’abbia approvata. Perché è una legge che non si è mai vista né nel Primo né nel Terzo Mondo e nemmeno all’altro mondo. Perché non sta né in cielo né in terra.
Dunque, un emendamento inserito in un decreto che prende il nome, divenuto quanto mai beffardo, di “decreto sicurezza”, statuisce la sospensione dei processi in corso che riguardano reati commessi prima del 30 giugno 2002 e che prevedono una pena non superiore ai dieci anni di carcere. Un ulteriore emendamento intima ai magistrati di dare priorità, anche per il presente e il futuro, ai reati che hanno una pena edittale superiore ai dieci anni. La ‘ratio’ di questi emendamenti è di «dare la precedenza ai reati che destano maggior allarme sociale». Perché non destano “allarme sociale” le rapine, i sequestri di persona, le estorsioni, gli stupri, le violenze sessuali, la bancarotta fraudolenta, la concussione, la corruzione, la corruzione di magistrati che non sono che una parte di quelli che rientrano nella norma che prevede la sospensione dei rispettivi processi e per alcuni dei quali la stessa maggioranza non fa che invocare la ‘tolleranza zero’?
E non desta “allarme sociale” che un presidente del Consiglio abbia potuto corrompere un testimone, in due distinti processi, pagandogli 600 mila dollari perché mentisse, è esattamente il reato per cui l’onorevole Berlusconi è sotto processo davanti al Tribunale di Milano, e che rientra naturalmente fra quelli che verranno sospesi (reato attribuito al premier è, guarda caso, del febbraio 2001), e per il quale è stato organizzato tutto questo incredibile baradan?
Senza contare che tutto ciò dilata ulteriormente i già lunghissimi tempi della giustizia italiana di cui tutti, a parole, lamentano, e che ne sono il vero cancro. E senza nemmeno mettere in conto che queste norme inaudite violano almeno tre principi fondamentali del nostro ordinamento, costituzionalmente garantiti: l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, l’indipendenza della Magistratura, l’obbligatorietà dell’azione penale. E che indicazioni ne trarranno, per il presente e per il futuro, i rapinatori, gli stupratori, gli scippatori, i topi d’appartamento, i bancarottieri, i concussori, i corruttori?
Un intero ordinamento giuridico viene scardinato a pro di una singola persona. Norme del genere avrebbero innescato una rivoluzione non dico in un qualsiasi Paese liberaldemocratico e occidentale, ma nel Burundi, nel Burkina Faso, nel Benin. E invece da noi stanno per passare tranquillamente salvo qualche ammoina dell’opposizione il cui leader, Walter Veltroni, ha affermato che «è stata strappata la tela del dialogo». Qui ciò che è stato strappato, anzi stracciato, è il diritto che riguarda tutta la comunità e non il rapporto con l’opposizione di cui potremmo anche fregarcene. Così come la questione non riguarda lo scontro fra Esecutivo e Magistratura. Riguarda noi tutti.
Che fare? Forse sarebbe stato meglio dar retta a un modesto suggerimento che mi permettevo di dare sul “Tempo” di Roma (che non è esattamente un quotidiano di sinistra) a metà degli anni ’90, quando Berlusconi cominciò la sua devastante campagna contro la Magistratura italiana. E cioè, varare una norma del tutto speciale, sulla falsariga delle “Disposizioni transitorie e finali” che stanno in coda alla nostra Costituzione, e che recitasse, più o meno, così: “Silvio Berlusconi , i suoi discendenti, le sue consorti, i suoi consanguinei e tutti i membri, a qualsiasi titolo, della Casa di Arcore sono dispensati, per il passato, il presente e il futuro, dall’obbligo del rispetto delle leggi penali”. Ci saremmo perlomeno risparmiati lo scempio di questi giorni.
Massimo Fini
(da “Il Gazzettino” – 20 giugno 2008)