Durante il suo discorso alla Camera, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricordato cosa accadeva negli anni ’70 e ’80 («…quando nel nome dell’antifascismo militante ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese»). L’indomani, pavlovianamente, il quotidiano “La Stampa” ha replicato con un’intervista al fratello di una “vittima della destra”, Claudio Varalli, dimenticando però di raccontare con precisione la storia di quel fatto di sangue.
Per rispolverare la memoria è utile affidarsi alla narrazione del quotidiano “La Repubblica”, in occasione della morte di Antonio Braggion, che uccise il militante comunista. Era il 16 aprile 1975, a Milano, quando una decina di militanti del Movimento Studentesco aggredì tre militanti di destra che volantinavano. Mentre due riuscirono ad allontanarsi, Braggion, a causa di un impedimento fisico alla gamba, fu costretto a rifugiarsi nella propria Mini minor. I militanti antifascisti cominciarono a colpirla, fino a romperne i vetri. L’aggredito esplose tre colpi di pistola dall’interno della vettura, uno dei quali ferì a morte Varalli.
Braggion, che durante il processo giustificò il ricorso alla pistola per il timore di essere ucciso dai militanti antifascisti, fu condannato, in secondo grado, a tre anni per eccesso colposo in legittima difesa e altri tre per detenzione abusiva di arma.
Non è inutile ricordare che proprio in quei giorni, Sergio Ramelli si trovava agonizzante in ospedale, dopo aver subito, sempre a Milano. un’aggressione (13 marzo 1975) a colpi di chiave inglese da parte di un commando di antifascisti militanti. A causa di quei colpi, il 29 aprile Sergio morì.
P. S.= Resta da scoprire come venga spiegato agli studenti come mai la loro scuola sia stata intestata a uno studente che aggredì un altro studente solo perché non condivideva le sue idee.