Scurati e non solo. Ogni occasione è buona per trasformare il 25 aprile in una grande kermesse piazzaiola e mediatica contro la destra. Quest’anno è il caso dello scrittore “censurato” da una Rai in deriva “fascistoide”, secondo quanto lo stesso aedo dell’antifascismo va proclamando in giro in questi giorni. Alla sua vicenda si aggiunge anche, in questo periodo, l’”allarme” degli spiriti progressisti per la “repressione poliziesca” dei poveri studenti filopalestinesi (alcuni dei quali ultracinquantenni e ben noti alla Questura di Roma per atti di teppismo politico) alla Sapienza di Roma.
Nel 25 aprile del 2023 furono invece le dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio la Russa su via Rasella a mettere un po’ di peperoncino nel solito, monotono dibattito su fascismo e antifascismo. Ma il motivo vero della mobilitazione di un anno fa era rappresentato dalla smania di Elly Schlein, segretaria del Pd fresca di nomina, di recuperare consensi a sinistra brandendo l’arma impropria dell’antifascismo ideologico contro il governo di “questa destra”. E sì, perché il mito del 25 aprile riprende vigore ogni volta che in Italia governa il centrodestra. Così fu fin dall’inizio, fin dal 25 aprile del 1994, anno in cui, per la prima volta nella storia dell’Italia democratica, al governo dell’Italia salì una coalizione di centrodestra. La manifestazione antifascista di Milano fu in quel contesto una prova di forza tentata dalla sinistra sconfitta alle elezioni contro il primo esecutivo Berlusconi.
Anche in quel caso fu una trasmissione Rai a fornire il pretesto per la mobilitazione dell’opposizione. Il programma in questione fu “Combat film” , che presentava i filmati inediti delle truppe americane in Italia. A colpire il pubblico furono, tra le altre cose, le immagini dei giovani fascisti dei reparti speciali della Rsi che affrontavano con coraggio e dignità la fucilazione da parte dei soldati Usa a Santa Maria Capua Vetere. Ma a colpire furono soprattutto le parole a commento di Giano Accame, ospite in trasmissione, parole mai udite alla tv di Stato: altro che liberatori, gli Alleati trattarono gli italiani come un popolo da schiacciare e umiliare. Il grande intellettuale di destra, ex direttore del “Secolo”, ricordò anche che antifascismo non è sempre sinonimo di democrazia, perché antifascisti erano anche i comunisti che si battevano per la dittatura del proletariato e che, di lì a qualche mese, si sarebbero abbandonati alle più efferate vendette contro fascisti o presunti tali.
Per la sinistra, soprattutto per gli intellettuali, fu un trauma udire quelle parole, uno sconvolgimento che era a sua volta espressione del vero e proprio shock che la sinistra stessa subiva dal 27 marzo precedente. Quello non fu solo il giorno della storica vittoria elettorale del Polo della libertà e del buon governo, fu anche il giorno di una “sconvolgente” rivelazione: l’Italia è un Paese di destra, o almeno non è un Paese di sinistra, un Paese comunque lontano dal modello ideologico progressista e antifascista con cui era stato rappresentato dalla fine della guerra ad allora.
Diciamo che il mondo della Schlein, del Pd, e degli intellettuali alla Antonio Scurati, dopo 30 anni, non si è ancora ripreso da quel trauma. Tale inguaribile turbamento si traduce in una sorta di fuga dalla realtà vera del Paese e produce quel mix di ideologismo e snobismo che condanna la sinistra più intransigente e radicale a una condizione di minorità politica. E di depressione esistenziale.
In questo contesto l’antifascismo, prima ancora di essere un’arma di polemica politica, è una sorta di rassicurazione, di consolazione, una vera e propria coperta di Linus, un modo per dire “eccoci”, “siamo sempre noi”, “un giorno torneremo egemoni”. Poi, ovviamente, c’è anche il tentativo di introdurre un argomento a proprio favore nel dibattito politico, come quando si rimprovera a Giorgia Meloni di non utilizzare la parola “antifascismo” come attributo della democrazia. Ma questo, in fondo, è un modo di sospendere il giudizio storico-politico, per trasformare il conflitto fascismo-antifascismo in una sorta di scontro metapolitico. A insegnare questo metodo agli intellettuali progressisti fu, a suo tempo, Umberto Eco quando inventò l’Ur-Fascismo, il “fascismo eterno”. In realtà, il concetto di Ur-Fascismo è una vera banalità, però la genialità di Eco fu di dotarlo di una mirabile potenza evocativa, inducendo a favoleggiare di squadrismi sumerici e manganellate mesopotamiche. In questo 25 aprile c’è però anche un calcolo politico piccino: la sinistra ha cavalcato alla grande lo “sgomento” per il caso Scurati allo scopo, tra le altre cose, di dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica, dalle marachelle di Michele Emiliano e dei cacicchi pugliesi del Pd, alla presunta “deriva autoritaria” dell’Italia. Come insegna Linus, anche la coperta dell’antifascismo va bene per tutte le stagioni.
Aldo Di Lello
(dal “Secolo d’Italia” del 25 aprile 2024)