La vittoria alle elezioni politiche del 2022 di Fratelli d’Italia (primo partito) e del centrodestra nel complesso ha condotto alla formazione di un governo guidato da Giorgia Meloni che ha tutte le prospettive di giungere alla fine della legislatura. Questa chiara e democratica vittoria ha portato però ad un risultato paradossale, quello che personalmente considero una contraddizione: l’invito, se non l’ordine interno e non certo pubblico a cancellare le tracce. Che significa? E’ da intendersi che tutti gli eletti o coloro che hanno raggiunto posti di responsabilità pubblica devono far dimenticare il loro passato politico “militante”, quel che erano in precedenza per evitare ricatti, inchieste giornalistiche, polemiche da parte degli avversari in Parlamento e fuori sui media tradizionali e in specie sui social media, nella quasi totalità ostili alle scelte degli italiani.
Questo appunto il paradosso grottesco: gli eletti del centrodestra e in particolare quelli di FdI sono stati mandati alla Camera e al Senato proprio perché tali, proprio perché caratterizzati da quelle qualità che ora si vorrebbero far sparire per precauzione, opportunità e quieto vivere. E se si trova una vecchia foto “militante”… E se si scova un antico filmato “giovanile”… Ovviamente “compromettenti”? Per questo singolare ragionamento, si potrebbe dire assai democristiano, bisogna cancellare le tracce. E poiché oggi tutti o quasi, specie chi è esposto, usano internet o sono presenti in rete e soprattutto su Facebook dove postano immagini, testi del passato o sostengono discussioni o polemiche devono di conseguenza eliminare le loro tracce perché esse non vengano ritorte contro di loro, pur se utilizzate in modo strumentale e in mala fede, ma la politica è quella che è….
Ritengo però da parte mia che sia una assurdità voler far dimenticare quel che si è stati in buona fede, la propria identità, ma sta di fatto che oggi quasi nessuno resiste alla tentazione di ostentare il se stesso che è stato o che è. E’ la sindrome della visibilità promossa dall’uso intensivo, direi smodato e ossessivo dei cosiddetti social media, una attrazione fatale cui pochissimi sanno resistere. Mettersi in mostra sembra essere la parola d’ordine della Società dell’Immagine, meglio ancora se si rinnega esplicitamente il passato e ci si presenta in una veste nuova, adatta ai tempi nuovi, i tempi del Potere. Purtroppo le cose stanno così, ma qui vale come si dirà, il concetto, di cui varie volte ho già parlato, del ”due pesi, due misure”: la stessa cosa fatta a destra è esecrabile e quindi condannabile, fatta a sinistra accettabile e dimenticabile, al massimo blandamente criticata, ma senza grandi conseguenze. Condanne verbali ma nessuna conseguenza pratica nonostante le minacce di porle in essere.
Purtroppo c’è un caso che lo dimostra, quello di Marcello de Angelis. Conosco Marcello da decenni, è una persona poliedrica: non solo giornalista, direttore di riviste, scrittore di racconti e romanzi, grafico e illustratore, ma anche compositore, musicista, cantante. Per anni portavoce del presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca che ha seguito quando quest’ultimo è stato nominato presidente della Regione Lazio come capo delle comunicazioni. Tempo fa, non resistendo anche lui al richiamo dei social, se ne è uscito con molti dubbi sulla attribuzione “ufficiale” della strage di Bologna, una opinione non più privata ma pubblica. Poteva tenerla per sé, o dirlo agli amici direttamente, mentre lo ha detto coram populo non ben pensando ingenuamente alle sue conseguenze amplificate dalla sua carica, che sono state catastrofiche per le reazioni degli avversari politici che ne hanno approfittato, costringendolo alle dimissioni nonostante ritrattazioni e scuse umilianti, con conseguenze pubbliche e private, anche perché qualcuno ha scovato, ovviamente sul Web e pubblicato una sua foto giovanile mentre suonava e cantava chitarra in mano, una canzone ovviamente “di destra”. Non aver cancellato le tracce dimenticando la propria identità personale e culturale ha dunque prodotto conseguenze negative… Si dovrebbe allora dar ragione a chi lo sollecitata ora con insistenza, ma non è così specie perché non vale per tutti, anche se lo scrive qui uno che non avendo mai fatto politica-politicante, non avendo mai frequentato sezioni di partito, non utilizzando Facebook e soprattutto non avendo nulla da nascondere e rimproverarsi su certi piani non dipendendo da nessuno, parla soltanto per se stesso anche se poi generalizza a livello teorico…
Tutto ciò, questo massacro mediatico, non è avvenuto sul versante opposto in un caso diverso e simile allo stesso tempo. La professoressa Donatella Di Cesare, che insegna filosofia alla Università di Roma, anche qui coram populo con un tweet su Telegram perché ormai proprio nessuno resiste alla tentazione di mettersi in piazza usando i nuovi media, ha scritto un sentito epicedio per la morte di Barbara Balzerani, ex brigatista rossa coinvolta nel sequestro e uccisione di Aldo Moro: “Le vie diverse non cancellano le idee. La tua rivoluzione è stata anche la mia. Con malinconia un addio alla compagna Luna”. Un tweet dell’inizio di marzo, poi rimosso, con la rettrice della Sapienza che aveva promesso valutazioni e provvedimenti, naturalmente mai avvenuti, a mia memoria. Con la docente che si è vista contestata durante una lezione dai giovani di Forza Italia che hanno mostrato le foto delle vittime delle BR e la povera donna che si è detta scossa. Niente altro, mi pare. Tutto qui e un po’ di polemiche giornalistiche subito smorzate. Dietro l’usbergo implicito o esplicito dell’ “antifascismo” ci si può permettere di tutto e di più, e infatti la Di Cesare tempo dopo si è sentita in dovere di dare, non so bene perché, del “neo-hitleriano” (?!) al ministro dell’Agricoltura Lollobrigida beccandosi una querela. Vezzo comune a certi ambienti: lo stesso per l’anziano classicista dell’Università di Bari Luciano Canfora che ha dato della “mentalità neonazista” a Giorgia Meloni, giustificando l’affermazione con una serie di sillogismi strampalati. Vedremo come la penseranno gli israeliani. Chissà come andrà a finire, mi auguro in entrambi i casi che non sia considerata una “libertà di pensiero o di critica” perché sarebbe un pericoloso precedente. Cancellare le tracce servirà a ben poco, io credo.
Penso s’imponga il confronto con il caso di Marcello de Angelis che si è vista distrutta una carriera per aver espresso (anche lui come la compagna docente) una opinione di certo controcorrente e politicamente scorretta ma che è di molti. Vale appunto il ”due pesi, due misure”: nessun danno professionale e culturale per la Di Cesare e Canfora che possono continuare a insegnare, tenere conferenze, scrivere sul Corriere della Sera. E’ possibile? Cancellare le tracce dunque, far dimenticare quel che si è stati in un passato, in una gioventù più o meno lontani. Tagliare addirittura le radici, dimenticandosi del famoso motto del venerato professor Tolkien: “Le radici profonde non gelano”! Forse allora erano solo radici molto superficiali… Però, però… Se qualcosa si deve nascondere e cancellare, qualcos’altro deve essere messo in mostra, e non sono certo le idee: il bell’aspetto femminile certo, ma anche maschile, dei rappresentanti della destra italiana che devono essere intervistati in TV o partecipare ai talk show: questo, da quanto mi vien detto, il nuovo imperativo di FdI, una vera e propria direttiva dell’Ufficio Maquillage del Partito. Sarà vero o è solo una maldicenza? Mah! Altrimenti il prossimo passo sarà un dress code adeguato alle diverse occasioni ufficiali…
Giunti a guidare l’Italia per volontà popolare con una percentuale di gradimento costante in tutti i successivi sondaggi, ci si deve vergognare di quello che si è stati, della propria identità personale, ideale e politica? E per di più ingiuriati da una élite di sinistra che dall’altro del suo snobismo si crede permessa tutto. Non è un paese per coerenti, questo.
(da Barbadillo.it – 18 maggio 2024)