Sono in gran parte condivisibili le posizioni dalla ‘cosa nera’ (che giustamente qualcuno ha già ribattezzato “Cosuzza Nera”) alla Rifondazione aennina proposta da ex ‘colonnelli’ del partito post-fascista degli anni Novanta, fino alla reunion dal sapore un po’ nostalgico lanciata a Orvieto da Francesco Storace («Ancora tu, ma non dovevamo vederci più», ha giustamente scritto Mario Bozzi Sentieri).
Una raffica di “no”
Sono condivisibili e tutto sommato univoche, nel senso che vanno nella direzione di una bocciatura di qualsiasi riproposizione del passato. Per due motivi di fondo.
Primo: appare sbagliato riproporre a quasi vent’anni di distanza un progetto politico che è già fallito, pur avendo avuto l’occasione storica di partecipare attivamente al governo nazionale e a molti governi locali.
Secondo: non si vede con quale coraggio la rifondazione di un progetto politico “vecchio” debba essere affidata agli stessi personaggi che l’hanno fatto fallire, quando peraltro avevano vent’anni di meno e potevano cavalcare l’onda storica e benevola del post Tangentopoli. Errare è umano, perseverare…
Ci sarebbe anche un terzo motivo, che magari ha poco a che vedere con la scienza della politica e molto di più con gli umori e le sensazioni epidermiche: e cioè che i protagonisti del fallimento, consapevoli dell’imminente inabissarsi del transatlantico sul quale hanno finora navigato, siano alla disperata ricerca di una scialuppa sulla quale caricare almeno parte dei loro vecchi privilegi. In attesa, chissà, di avvistare un peschereccio o un cargo sul quale risalire a bordo e proseguire la marcia verso una serena pensione.
L’assenza di un progetto
Ma c’è un altro aspetto della questione, che finora è rimasto sullo sfondo del dibattito. Ed è il concetto stesso di partito di destra, vale a dire la natura del progetto politico del quale si discute. Sappiamo tutti che all’interno del generico contenitore che va sotto il nome di “destra”, in realtà ci sono decine di differenti sensibilità, culture politiche e visioni del mondo. Tenerle insieme è un’impresa. In passato ci sono riusciti soltanto i collanti dell’antifascismo e della ghettizzazione e, più di recente, il progetto berlusconiano. Che però, alla distanza, si è rivelato più simile a una palude di sabbie mobili, in grado di inghiottire, fagocitare e digerire le energie delle destre.
I fatti concreti
Ora, in questa fase storico-politica, è necessario guardare al futuro con nervi saldi e mente lucida. E analizzare la situazione in modo realistico e senza velleitarismi. I fatti sono questi:
1) Comunque vadano a finire le vicende giudiziarie, il berlusconismo è al tramonto. Per una questione anagrafica (l’età del leader) e perché in vent’anni di esistenza ha più fallito che realizzato. L’indubbio carisma e il potere economico di Berlusconi gli consentiranno di calcare le scene ancora per un po’ (magari dietro le quinte, se sarà interdetto), ma siamo ormai al canto del cigno.
2) Il Movimento 5 Stelle sta dimostrando la sua fragilità intrinseca e non poteva essere altrimenti. Grillo è stato bravo a intercettare la protesta ma non si può creare dall’oggi al domani un partito strutturato in grado di pesare in Parlamento e nelle amministrazioni locali. Passare dalla protesta alla proposta non è mai facile. Inoltre il successo alle Politiche è andato al di là delle loro stesse aspettative e paradossalmente forse lo stesso Grillo avrebbe preferito gestire un movimento da 10-15% dei voti, anziché il primo partito d’Italia. Il riflusso è già cominciato e molti dei voti grillini torneranno presto in libera uscita.
3) Le recenti elezioni amministrative hanno confermato l’aumento dell’area del non voto. Non solo nei ballottaggi: in molti casi il 35-40% dei cittadini non è andato al voto neppure per scegliere liste e movimenti di opposizione o di protesta. Significa che la delusione e la disaffezione dalla politica ha ormai raggiunto livelli di guardia. Ma significa anche che esiste un bacino enorme di persone che potrebbero tornare alle urne a fronte di un progetto politico serio e alternativo a quelli esistenti.
4) La crisi economica, ben lungi dall’essere terminata, si preannuncia ancora lunga e dolorosa. La fiducia nella politica è vicina allo zero, ma è crollata anche la fiducia degli italiani (in passato ingenuamente entusiasti) nei confronti dell’Unione Europea e delle sue istituzioni, a partire dalla moneta unica, alla Bce, alla Commissione europea. Se poi gli italiani sapessero anche che cosa sono realmente (e quanto ci costano) sigle semi-sconosciute come Fiscal Compact, MES (Meccanismo europeo di stabilità) e altre simili architetture tecnocratico-finanziarie, il sentimento di ribellione verso le imposizioni centrali di Bruxelles avrebbe un’altra impennata. Piccola parentesi: gran parte di quei colonnelli, maggiori e sergenti che ora ipotizzano la “Cosuzza nera” e si riempiono la bocca con parole come italianità, patria e sovranità, in Parlamento hanno votato a favore di queste trappole che stanno lentamente strangolando il Paese e ne hanno ipotecato il futuro. Chiusa parentesi.
L’inutile scialuppa
A fronte di questa situazione, la scialuppa nera ipotizzata da taluni forse porterebbe in salvo la piccola casta dei politici di professione (che nell’ultimo ventennio hanno disintegrato l’eredità missina in una mezza dozzina di sigle da prefisso telefonico), ma di certo non sarebbe di grande utilità ai milioni di italiani che – in senso stretto o lato – si sono riconosciuti in un progetto politico di destra. Senza parlare di milioni di altri italiani che di destra non sono mai stati e forse mai lo sarebbero, però non si riconoscono nel centrosinistra, sono delusi dalla politica e dall’Italia inginocchiata a Berlino e Bruxelles.
Un movimento di liberazione nazionale
Ecco che allora, più che una “Cosuzza nera” o una Rifondazione aennina, servirebbe una sorta di Movimento di liberazione nazionale, in grado di intercettare umori, interessi, sensibilità, sogni e aspirazioni di quei milioni di italiani che non si fidano più né del Pdl, né del Pd meno elle, per usare una felice definizione di Grillo. E come ogni Fronte di liberazione nazionale che si rispetti dovrebbe badare più a ciò che unisce che non a ciò che divide.
Patto fra produttori
In questa fase l’esigenza primaria non può che essere il lavoro. E lavoro vuol dire produzione. Produzione italiana. Il primo punto nel decalogo di un ipotetico movimento politico che guardi al futuro dev’essere dunque il lavoro in tutte le sue declinazioni: lavoro dipendente, lavoro autonomo, lavoro artigianale, lavoro imprenditoriale. Un patto fra produttori, insomma. Perché nell’attuale congiuntura ad essere tagliati fuori dalle decisioni e ad essere “munti” dai poteri forti – tecnocratici, finanziari e globalisti – sono proprio le categorie produttive nazionali: dipendenti, artigiani, imprenditori di piccole e medie dimensioni, professionisti.
Sovranità nazionale
Un altro dei punti del minimo comun denominatore che dovrebbe unire le forze dell’ipotetico Fronte di liberazione nazionale deve necessariamente passare attraverso la riconquista, almeno parziale, della sovranità nazionale. Che in questa fase significa, anche e soprattutto, sovranità nella politica economica del Paese. Il che vuol dire puntare in futuro a riappropriarsi della sovranità monetaria, ma immediatamente denunciare e rinegoziare i trattati-capestro imposti all’Italia dall’Ue, a partire da Fiscal Compact e Meccanismo europeo di stabilità (MES). È ovvio che nel discorso su riappropriamento della sovranità nazionale vadano poi ridiscusse anche le modalità di partecipazione dell’Italia alla Nato e alle missioni di guerra all’estero, la concessione di basi italiane per attività illegali di altri Paesi (vedi polemica sul MUOS), l’imposizione di commesse militari bidone quali l’acquisto degli F-35 etc etc. Ci sarebbe poi da fare un più vasto discorso di tipo culturale, che rimandiamo ad altre occasioni.
Via dall’euro
L’obiettivo di riappropriarsi della sovranità economica, in ultima analisi significa anche uscita dall’euro o quanto meno rinegoziazione della moneta unica europea; che allo stato attuale, con la politica di ferreo rigore imposta all’Ue dalla Germania, sta letteralmente strangolando la nostra economia e quelle dei Paesi mediterranei, a vantaggio di Berlino e di altre nazioni del Nord Europa.
Politica internazionale
Dopo anni di vassallaggio nei confronti degli Usa, ma di recente persino di Francia e Gran Bretagna (vedasi caso Libia), l’Italia deve tornare ad avere una propria e autonoma politica internazionale. Che fra l’altro tenga conto della specificità geopolitica ed economica del nostro Paese, vero “ponte” fra Europa e Nord Africa proteso anche verso il vicino Oriente. Senza andare troppo lontano nel tempo, c’è l’esempio positivo dei governi Andreotti e Craxi degli Anni Ottanta (non formalizziamoci sui nomi, né sui partiti di appartenenza) e l’azione dell’Eni di Mattei negli Anni Sessanta. In questo senso anche il tanto vituperato Berlusconi (vituperato spesso a ragione) in passato ha compiuto alcune mosse interessanti, sia verso la Russia, sia verso il Nord Africa, sia verso i Paesi orientali, specie in materia energetica e di interscambi economici. In questo senso non si partirebbe proprio da zero.
Eliminazione degli sprechi e riforma fiscale
Sono due punti ineludibili per qualsiasi forza politica che si prefigga di uscire dallo status quo. Eliminare spese inutili e “regali” a lobby e consorterie (la politica in primis, ma non è l’unica) e ridurre l’imposizione fiscale sui lavoratori (siano essi dipendenti o autonomi), sulla prima casa, sulle attività produttive. Al tempo stesso lotta seria all’evasione fiscale, non bastano le comparsate di Ferragosto a Cortina o Portofino a caccia di commercianti che non fanno lo scontrino fiscale.
Mantenimento dello Stato sociale
Obiettivo primario deve essere la difesa dello Stato sociale, depurato dagli sprechi che ancora esistono e dalle sacche di clientelismo e inefficienza legate a partiti e sindacati. Quindi salvaguardia delle pensioni, della sanità pubblica, dell’istruzione pubblica, dei centri di assistenza secondo una logica di giustizia sociale che privilegi sempre il lavoro e la produzione a scapito delle rendite e delle speculazioni finanziarie.
Si tratta ovviamente di idee sparse, da irrobustire e perfezionare, e alle quali affiancarne altre. Uno scheletro di programma sul quale costruire una nuova forma di azione politica. Però sarebbe interessante capire quanti degli orfani della vecchia “destra” potrebbero riconoscersi in un “manifesto” di questo genere, che potenzialmente potrebbe invece suscitare interesse in strati sociali che di destra non si sono mai sentiti. Anche perché la crisi economica, ben lungi dall’essere conclusa, si sta invece rivelando un fenomenale spartiacque fra chi vuole mantenere in piedi il sistema socio-economico – ma anche valoriale – degli ultimi vent’anni (definito da taluni turbo-capitalismo), che ha creato squilibri, povertà, disagio sociale e sfiducia a livelli mai visti dal Dopoguerra a oggi.
E se certe idee possono sembrare quasi utopiche, è il caso di ricordare che da qui a un paio di anni in Italia potrebbe succedere veramente di tutto: tra fine del Berlusconismo, sfacelo economico e strangolamento dei meccanismi europei, le carte sul tavolo della politica verranno completamente sparigliate. Dal 2015, secondo il Fiscal Compact, l’Italia dovrà ridurre il proprio debito pubblico a suon di tagli da 45 miliardi di euro all’anno, per un tempo calcolato in circa vent’anni. Anche un bambino capirebbe che non ce la faremo mai e che l’alternativa è fra una lenta agonia, sull’esempio della Grecia, e invece decidersi a far saltare il banco, con uno scatto di orgoglio ma anche di istinto di sopravvivenza. Insomma, sarebbe meglio non farsi trovare preparati. Altro che “destra”, “sinistra”, “Cosa nera” o Rifondazione aennina…
Giorgio Ballario
(da “Barbadillo” – 16 luglio 2013)