L’estenuante batti e ribatti tra gli undici consiglieri regionali, indecisi se e come atteggiarsi verso la nascente prima Giunta Pili, ha evidenziato le difficoltà che un partito politico in possesso di un preciso, dignitoso e prestigioso dna (per essere chiari non mi pare che nel Pps o nel Ccd ci siano state analoghe indecisioni) si trova ad affrontare quando si devono conciliare volontà e velleità di governo con princìpi, valori, idee. E soprattutto come non fossero infondati quei dubbi che il popolo missino (presenza fisiologicamente preponderante e talvolta rassicurante in Alleanza nazionale, alla faccia dei Selva e dei Fisichella), allevato e fortificato a “pane ed opposizione”, aveva sempre conclamato, consapevole che, una volta tastata la torta, anche gli “alleati nazionali” avrebbero potuto rinunciare in maniera spregiudicata alla dignità politica pur di governare.
Risulterebbe impietoso sparare a zero sui consiglieri regionali che si appoggiano alla Giunta di Mauro Pili dall’esterno o dall’interno. L’importante è che non perdano l’equilibrio. Invece potrebbe essere più utile per un partito che discute poco, per un partito poco incline ad accettare le critiche, per un partito che spesso diserta gli appuntamenti con la storia, per un partito dove i più feroci nemici sono considerati gli avversari interni, offrire uno stimolo alla riflessione ed all’analisi, non condizionata da simpatie ed appartenenze correntizie (difatti l’avvicinarsi del congresso facilita la divisione delle tifoserie). Un metodo analitico della vicenda affidato alle parole di personalità al di sopra di ogni sospetto, certamente meritevoli di maggior attenzione di chi scrive.
Osservando le lunghe giornate e le estenuanti riunioni, leggendo le tante dichiarazioni e le smisurate e fuori luogo indiscrezioni, ben in vista sulle pagine dei quotidiani, che hanno riguardato il dibattito interno al gruppo di An, è stato facile concordare col poeta americano Ezra Pound, che fin dal 1933 si era reso conto che «in politica il problema è quello di trovare la linea di demarcazione tra affari pubblici e affari privati». Ed infatti i politici americani lo rinchiusero in manicomio dichiarandolo infermo di mente. Come valutare il troppo tempo che è passato inutilmente dalle illuminanti parole di Benito Mussolini (indiscusso avo nella scala genealogica che collega An al Msi e quindi al fascismo), quando enunciava come monito ai suoi seguaci che «il Fascismo non promette né onori, né cariche, né guadagni, ma il dovere ed il combattimento» o da quelle dello scrittore fiorentino Berto Ricci, un indimenticabile fascista intransigente, convinto assertore che «disciplina vera e bella, è non rinunziare mai alle idee, ma saper rinunziare sempre al tornaconto personale»? Certo, Mussolini era ben consapevole della difettosa natura umana ed ancor di più di quella italica, perciò non perdeva occasione per ribadire che «i sotterfugi, le conventicole, le piccole congiure, la calunnia, la critica subdola, le miserie di ogni genere ripugnano alla concezione morale del fascismo». Eppure arrivò comunque il 25 Luglio.
È fin troppo facile sospettare che l’avvicinarsi al potere sia stato prodromo di gravi contaminazioni ed abbia inevitabilmente contribuito all’annebbiamento di alcuni saldi princìpi, più che mai oggi necessari per distinguersi dai “soci” al potere. Non è opportuno, perciò, emettere una condanna impietosa e definitiva a carico dei protagonisti di una vicenda certamente non troppo edificante e che poco avrebbe a che fare con la svolta di pulizia e di novità propugnata dalla destra al governo. Ritengo più utile sollecitare tutti coloro che dalle parti di An fanno della politica il loro pane quotidiano ad una riflessione sulle parole del giurista Carlo Costamagna, convinto assertore che «vi è qualcosa nella vita oltre il fine individuale, e il mondo della realtà non si circoscrive alle cose che cadono sotto i nostri sensi o soddisfano i nostri bisogni materiali». Però, anche se la condanna è stata risparmiata, voglio concedere ai mal considerati un’ulteriore attenuante, servendomi di un’intuizione del poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe: «agire è facile, pensare difficile, agire secondo il pensiero incomodo».