«Sono convinto di aver individuato da molto tempo i meccanismi della strategia della tensione, i suoi protagonisti e le sue strutture. Solo che quando dici: il Mossad fa questo, il Pci quest’altro, la Francia interviene così, così si muove la P2 e così fa l’internazionale rossa rischi di sembrare un paranoico astratto.» Così Gabriele Adinolfi spiega l’idea che ha generato il suo primo romanzo storico, “Quella strage fascista” (uscito in doppio formato, cartaceo/digitale ed eBook, per le edizioni ad Youcanprint), ambientato intorno alla strage di Brescia, con una lettura assolutamente controcorrente della stagione del terrore e delle trame di potere, che subirono un’accelerazione proprio a partire dal 1974, anno della strage in piazza della Loggia.
Un romanzo storico, ma con l’ambizione di enunciare tante verità…
«Se credi di aver compreso le singole motivazioni e le diverse logiche e di essere in grado di rappresentarle nella loro umanità, se riesci a spiegare come certe cose si siano sviluppate, forse rendi un servizio maggiore alla storia che non se ti cimenti in una semplice anatomia saggistica.»
Perché proprio la strage di Brescia?
«Perché è la strage ‘fascista’ per antonomasia, è la strage ‘fascista’ con il maggior accanimento nel confezionare colpevoli gettandoli in carcere per anni e anni sulla base di depistaggi da quattro soldi (penso a Nando Ferrari, ma soprattutto a Cesare Ferri per il quale si giunse ad affermare che aveva fatto sostenere l’esame di filosofia alla Cattolica ad un sosia…), uccidendoli addirittura (Silvio Ferrari, Giancarlo Esposti). E anche perché è la strage sulla quale gli inquirenti hanno avuto a disposizione da subito il maggior numero d’indizi e prove e li hanno ignorati su ordine del Ministro dell’interno, un altissimo dirigente di Gladio che, su evidente disposizione di Kissinger, depistò per proteggere il Partito comunista.»
Che metodo di indagini hai seguito?
«Ho raccolto tutta una serie di elementi, tutti regolarmente ignorati dagli inquirenti, alcuni prodotti dagli imputati, altri da avvocati o giornalisti. E li ho incrociati con le memorie dei brigatisti e degli agenti.»
Indizi e prove ignorate dagli inquirenti…
«Un’infinità. Innanzitutto la prima ricostruzione dell’esplosione lasciava pensare che come era avvenuto precedentemente (ad Atene e a Segrate) e come sarebbe avvenuto in seguito (Bologna), la bomba fosse esplosa prematuramente sotto il braccio del trasportatore. Poi la telefonata intercettata della segretaria di Italia-Cuba che confidava alla moglie dell’Ambasciatore cubano di essere al corrente dell’attentato fin dalla vigilia. Quindi la presenza in loco di un brigatista, all’insaputa dei capi Curcio e Franceschini; un brigatista che si era schierato contro i suoi vertici votando pochi giorni prima l’eliminazione del giudice Sossi che fu invece rilasciato dalle Br; un brigatista che faceva capo al cosiddetto Superclan che era bombarolo (immischiato quantomeno negli attentati di Atene e Segrate), che aveva contatti organici con una serie di servizi stranieri, che aveva accolto l’offerta di collaborazione del Mossad e che sarà protagonista del delitto Moro e anche dell’orgia sanguinosa antifascista. Inoltre le motivazioni del rifiuto della domanda d’asilo di un altro brigatista dell’ala del Superclan rivolta alla Germania dell’est, paese comunista, forte del suo matrimonio con una tedesca orientale figlia di un membro del Partito. La motivazione del rifiuto fu spiegata con il suo coinvolgimento recente in un attentato dinamitardo in Italia che aveva prodotto vittime civili. Inoltre il tema del comizio non era, come si è sempre lasciato credere, “contro il fascismo”, ma “contro il fascismo delle brigate rosse”. In quel preciso momento il Pci, che fino ad allora aveva protetto e coccolato la lotta armata, era ad un bivio e in quel bivio i terroristi gappisti non volevano cedere terreno.»
Quale tesi scaturisce dal libro?
«Non la vorrei esprimere qui, in quanto ricadremmo nel rischio precedentemente paventato di tracciare uno schema che potrebbe apparire paranoico o fantasioso. Inviterei a leggere il romanzo per capire come ho ricostruito quella commedia umana, quella tragedia umana. Diciamo solo che tutto quello che ci hanno raccontato è falso. Andrebbe letteralmente capovolto, ma capovolgendolo ci avvicineremmo alla verità restandone comunque distanti. Bisogna provare qualcosa di più e di diverso, cercare di entrare nelle mentalità sovversive, in quelle messianiche, in quelle rivoluzionarie e capire come tutte insieme possano aver prodotto un mosaico sinergico, che non è così strano o inedito visto che si tratta dello stesso che aveva animato il fronte alleato nella Seconda Guerra Mondiale; va considerato poi che il terrorismo rosso in Italia fu partorito e diretto da quel che restava del Cln partigiano e che verosimilmente l’ordine di uccidere Moro partì dalla stessa villa fiorentina da cui si era mosso il commando di sicari che aveva assassinato Giovanni Gentile.»
Faber (esclusiva “Spigoli”)