Mentre qualcuno, dopo settant’anni, ancora inneggia alla ‘guerra civile’ italiana, divide i caduti in buoni e cattivi e sventola le bandiere rosse al canto di “Bella ciao”, ho deciso di celebrare il 25 aprile riportando la relazione che, nel 1970, un maestro elementare scrisse al Provveditore agli Studi in risposta alla circolare che lo invitava a celebrare “degnamente ed adeguatamente” la ricorrenza coi giovani, “quale contributo alla loro educazione civica”.
«Nessuna celebrazione in senso esaltativo. Ricordo e celebro l’anniversario della nascita di Guglielmo Marconi. Il riferimento alla data del 25 aprile, in termini storici, viene da me fatto (e così è stato anche quest’anno) per dare ai miei alunni conoscenza e coscienza che ambo le parti impegnate sugli opposti fronti nel periodo 1943-45, ebbero i loro morti, da onorare e cristianamente rispettare; per convincerli che di fronte alla morte e al sacrificio non può sussistere la discriminazione, per indirizzarli ed educarli al rispetto del dolore e del pianto di tutte le madri, di tutte le spose, di tutti i figli coinvolti nei lutti e nella tragedia della guerra civile. Detto questo, affermo che non mi sento vincolato, in omaggio alla mia libertà e alla libertà dell’insegnamento, ad impostare e svolgere le mie lezioni nel senso vouto dall’ ‘alto’, nel caso specifico in senso unilaterale dal punto di vista storico, con ‘forzature’ di parte che dimezzano la verità sui fatti di quei tragici anni e che non conducono a superare, ma rinfocolano, l’odio fra gli italiani allontanando sempre più la tanto necessaria ed auspicata pacificazione degli animi.»
Era il maestro Tonino Meloni, volontario tra i Giovani Fascisti di Bir el Gobi, prigioniero non cooperatore degli americani ad Hereford e tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano a Cagliari.