Non hanno mai perso la passione che li ha sempre contraddistinti: la schedatura degli avversari politici, per loro esclusivamente, e più semplicemente, nemici.
Tra gli archivi più tristemente famosi, quello trovato in una sede di Avanguardia Operaia (poi diventata Democrazia proletaria) in viale Bligny a Milano, dove erano state archiviate le foto dei giovani missini partecipanti al funerale di Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della Gioventù milanese, ucciso nel 1975 a colpi di chiave inglese proprio da alcuni militanti comunisti di AO.
Negli anni ’70 ed ’80, in ogni città fiorivano i volumi con le schede dei ‘fascisti’, con tanto di foto, indirizzo di casa, abitudini ed eventualmente numero di targa dell’auto. Un vero e proprio vademecum su come e dove colpire.
Il vizietto, comunque, è rimasto e, se prima erano esclusivamente ad uso e consumo interno, negli ultimi anni (è accaduto anche a Cagliari) hanno addirittura inaugurato le presentazioni pubbliche dei loro dettagliati dossier, come quello di Lucca (vedi locandina).
Una tradizione certosina che arriva da lontano e che quel mondo antifa non intende abbandonare, istigato anche da un certo giornalismo e da alcune trasmissioni televisive che attraverso inchieste strumentali, spacciate per giornalismo (somiglia più allo spionaggio), indicano ai più spregiudicati ‘nuovi nemici’ con tanto di primo piano, nome e cognome.
Come se fosse la loro unica ragione di vita, ancor più oggi che un partito di destra si trova al governo della Nazione, in un delirante vortice di intolleranza, ammantata di democrazia farlocca, quelli che Pansa chiamò i “gendarmi della memoria” dimostrano di aver l’orologio della storia rotto, fermo agli anni ’70, periodo tristemente fecondo di scontri di piazza tra fascisti e comunisti, con il conseguente caro prezzo che tante giovani vite hanno pagato per le loro idee. Stagione che a questi prevaricatori professionisti non ha insegnato granché.