E’ veramente strano, sconvolgente come, mentre in Europa ed in Italia, grazie alla crisi crescano sempre più necessità ed istanze di un certo tipo, i refoli di certa partitocrazia, persone che tuttora amano definirsi di una certa “Area”, immersi e straconvinti del proprio ruolo di intramontabili “cambiamondo”, si siano recentemente dati appuntamento per rifondare, rianimare, rivitalizzare un qualche cosa che dovrebbe somigliare ad un certo soggetto politico, la cui grigia esperienza fu chiusa poco tempo fa dal suo degno fondatore, senza però poterne assumere direttamente ed apertamente la denominazione, poiché questa ultima è tuttora gelosamente custodita dai suoi tutori e co-(af)fondatori.
Un ibrido dunque, quello poco tempo fa venuto al mondo, un brutto anatroccolo il cui esordio inizia subito male, con una serie di ambiguità linguistiche e concettuali, evidenziabili ad una prima occhiata al programma, tranquillamente visitabile in rete. Coniugare Tradizione con Modernità, Autodeterminazione e via discorrendo, ricorrono molto di frequente, al pari dell’immarcescibile “sociale” che, ovunque messo, ci sta sempre bene. Ma, se andiamo a dare un’occhiata un po’ più in là, leggiamo che con l’immigrazione legale tutto bene, con quella illegale no, nè si capisce da quale caposaldo debba partire la tanto conclamata “rinegoziazione dell’euro”, o in cosa poi debba concretizzarsi “l’economia sociale di mercato”, termine tanto caro già alla vecchia AN degli esordi, o quali siano i passi per addivenire alla tanto richiesta “Europa dei Popoli” e via discorrendo.
A leggere questo programma ci sembra di trovarci, come al solito, di fronte alla solita, vecchia cara gallina bicefala del neofascismo destrista, un piede nelle istituzioni ed uno nella rivoluzione, del si dice e non si dice, parole, slogan sì, e pure belli, ma un programma in pochi, chiari essenziali punti, no. Quello meglio di no, si potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno di quei “pontieri”, con un occhio sempre attento ai movimenti “dell’altra parte”, pronti a riveder tutto, per un posto qua e là. E, come al solito, si parte lancia in resta alla conquista del mondo e si arriva più dimessamente a qualche asfittico posticino in Regione…
Eppure ci vorrebbe davvero poco, un programma chiaro, semplice, urlato ai quattro venti: Basta Globalismo. Basta accordi WTO, Maastricht e Lisbona. Richiesta di un civile scioglimento e smobilitazione della NATO (così come accaduto con l’oramai defunto Patto di Varsavia, sic!). Ritorno alle valute nazionali attraverso una iniziale fase di doppia monetazione. Nazionalizzazione delle Banche Centrali e fine del Signoraggio. Tassazione speciale sugli interessi derivanti dalle operazioni speculative finanziarie delle banche. Nazionalizzazione delle industrie e delle attività economiche di interesse nazionale (tra cui potrebbero anche starci le tivvù del Silvio nazionale, che ne dite?). Taglio radicale alle folli spese per le spedizioni militari all’estero. Immediata cessazione delle altrettanto folli svendite dei beni pubblici e demaniali (incluse le nostre coste, che le facce di bronzo di PDL ed associati vorrebbero svendere ad avvoltoi e a sfruttatori “privati”!). Incentivi al lavoro nazionale, andando a colpire gli oligopoli e le grandi concentrazioni economiche, attraverso azionariato diffuso, de burocratizzazione e, per i più giovani, leva lavorativa (i primi anni di lavoro, debbono essere impiegati in attività economiche di base, direttamente attribuite dallo stato). Un “No” duro, deciso, senza se e senza ma, all’immigrazione, vera e propria infezione-killer dei posti di lavoro italiani e destabilizzatrice dei delicati equilibri sociali nostrani, senza discriminare o offendere nessuno, ma piuttosto, privilegiando invece gli aiuti mirati verso l’estero.
Potremmo ancora continuare, tanto per far capire che, se si vuole, le soluzioni pratiche ai nostri problemi ci sono, eccome. Vi sembra poi così difficile adottare un programma simile? Certo, all’inizio potrebbe esservi qualche difficoltà, la cosa potrebbe non esser di gradimento agli aficionados di un comodo status quo. Il problema è che se certe persone o ambienti, che tuttora detengono atteggiamenti di pseudo-antagonismo, con tutto quello che succede, non hanno ancora (o non vogliono ancora…sic!) capire che la soluzione non sta dalla parte di un moderatismo ricoperto da un guascone e poco credibile estremismo di maniera, non possiamo farci proprio nulla. Con questa gente, nonostante passati trascorsi di comune militanza, nonostante l’umana simpatia ed il rispetto, che ispirano alcuni tra i loro nomi, non abbiamo alcun punto in comune e qualsiasi tentativo di dialogo, si risolverebbe in una sterile conversazione tra sordi. Non si può evocare l’Europa dei popoli, ldentitarismo, una visione sociale dell’economia e compagnia bella, quando sino a pochi istanti prima si era totalmente subalterni alla cartapesta berlusconiana, ovverosia a globalismo, culto dell’apparenza, anti identitarismo, mercantilismo, filo occidentalismo e chi più ne ha più ne metta, ovverosia valori totalmente contrapposti a quanto ora, invece, confusamente enunciato con toni trionfali.
Oddio, sbagliare si può sempre! Può anche essere che, nel nome del principio di un imperscrutabile Divenire storico, la “cosa” testè nata, venga a percorrere strade di inaspettato successo, magari ricalcando le orme dell’esperienza lepenista d’Oltralpe. Ma l’Italia non è la Francia, né quel resto d’Europa ove sono sorti e stanno conseguendo discreti successi, i movimenti populisti. Strano a dirsi, ma da noi il lungo retaggio ideologico del radicalismo ispiratosi all’esperienza fascista (inteso in tutte le sue sfumature, anche quelle più “rosse”, sic!) è divenuta la gabbia di contenimento di tutte le spinte innovative all’insegna dell’eterodossia. Questo si è verificato, grazie a quel lungo processo di trasformazione che ha fatto sterzare verso “destra” quel percorso ideologico a cui abbiamo testè accennato.
Una “destra”, confusa, disorientata ma, più d’ogni altra cosa, complessata dalla presenza di quel convitato di pietra rappresentato dal Fascismo, con cui non sono mai realmente stati fatti i dovuti conti, in un modo o nell’altro. O quanto meno, del Fascismo si sono voluti solo esaltare gli aspetti più kitsch e grotteschi, senza invece badare ad una sostanza ideologica di cui si è voluto travisare e deformare il messaggio. Lo stesso ritirare fuori certi simboli non depone bene, se si vuole sperare in una spinta innovatrice ed in una nuova carica ideale. Troppe volte abbiamo assistito ad esperienze, tentativi, esperimenti, finiti tutti come ben sappiamo, per credere che stavolta sia quella “giusta”.
Però, a dirla tutta, non ci sembra nemmeno giusta una unilaterale critica anti destra, che oggi va per la maggiore, senza guardare alle colpe dell’intero comparto antagonista nostrano, tuttora incapace di dare corpo ad un comune progetto di rinascita nazionale, senza finire vittima di ammuffite divisioni ideologiche e sterili personalismi. Il problema sta, a parere di chi scrive, in un’impostazione “di lavoro” profondamente errata. Scorrendo tra gli articoli del Blog “Sollevazione”, non può sfuggire un pezzo, a firma Moreno Pasquinelli, in cui, in un’ottica di critica profonda, si analizza il fallimento del tentativo di superare le categorie di destra e sinistra, a detta dello stesore del pezzo, tuttora vive e vegete più che mai, nel substrato culturale della nostra società. Ragion per cui, dopo decenni di imborghesimento del proletariato ed a seguito dell’acuirsi della crisi, la lotta di classe riprenderà spinta ed attualità.
A parere di chi scrive, l’errore non sta tanto nell’aver constatato il fallimento dei vari tentativi operati nel senso di quel tanto auspicato superamento categoriale, quanto nel voler insistere con la riproposizione di quelle categorie (in questo specifico caso la lotta di classe), senza voler operare un loro giusto inquadramento e riposizionamento. Il problema del confronto con la Globalizzazione, è oggidì arrivato ad un punto di non ritorno, per cui non ci si può esimere dal voler intraprendere un qualsivoglia tipo di iniziativa politica, senza dover fare i dovuti conti con questa realtà. Destra o sinistra, possono benissimo rappresentare gli spunti categoriali per una iniziale riflessione metapolitica, alla quale però, dovrà per forza seguire un necessario riadattamento di questi ultimi. Il concetto di lotta di classe, per esempio, è stato, sin dall’inizio, oggetto di tante di quelle disamine critiche e di quei successivi fallimenti sul piano storico, da dover, giocoforza, necessitare di una profonda revisione in direzione di una sua metaforizzazione, senza però ricadere in quegli errori ed in quelle semplificazioni che, del marxismo hanno fatto una nuova teodicea materialista a carattere universalizzante ed omologante. Stesso discorso potrebbe esser fatto per lo Stato-nazione che, da giusto punto di riferimento per lo sviluppo armonico di una comunità umana, ha finito con il divenire il gelido mostro burocratico di nietzschiana memoria, nella sua esclusiva veste di vessillo degli interessi delle classi più agiate. Gli esempi potrebbero proseguire all’infinito ma, la conclusione è una sola: nella sua fase di massima espansione, il capitalismo globale si rivela quale vera e propria contraddizione in essere. Il sogno del benessere universale, veicolato da un processo di totale mercificazione dell’uomo, va di pari passo con l’aumento di intensità e di frequenza delle crisi economiche e finanziarie. Queste crisi, assommate ad un disastroso impatto ambientale, determinano un processo di crescente disagio ed impoverimento dei ceti medio bassi, stavolta però celato ed ammortizzato dall’illusione di un momentaneo benessere, rappresentata dalla massiccia fruibilità delle nuove tecnologie (principalmente nel settore dell’informatica e delle comunicazioni…), nella sfera della vita individuale.
Di fronte ad uno scenario simile, riteniamo che la risurrezione dei vari zombie politici a cui stiamo in questi giorni assistendo, abbia veramente poco senso. Bene ha detto qualche giorno fa, durante un dibattito televisivo, un giornalista della Stampa, sul fatto che le prossime elezioni europee non si giocheranno più tra destra e sinistra, bensì tra quanti sono a favore di questa Europa, dei suoi trattati, delle sue alleanze, del suo sistema finanziario e quanti, invece, a tale status quo, sono contrari, di destra o sinistra che siano. In parole povere, il confronto va sempre più polarizzandosi tra chi, alla Globalizzazione è favorevole tout court, e chi, invece, prendendo spunto dalle conseguenze di questo processo sul piano concreto, va sempre più mostrando la propria contrarietà. Finite le belle parole, i giochini e le alchimie, ora la parola passa sempre più ai fatti concreti e, credete pure, non sarà certo la riesumazione ed il ritorno di qualche morto vivente sullo scenario della politica nostrana, a far modificare la rotta ad un oramai ineluttabile, processo storico.
Umberto Bianchi
(da “Il Fondo” – 23 novembre 2013)