Commentando le elezioni regionali della scorsa domenica si rischia di vestire i panni dello ‘sciacallo’, perciò eviterò di far percepire quell’antipatico sottinteso ve l’avevo detto.
Il voto nelle due regioni è difficilmente omologabile, sopratutto perché in Calabria mancava la Lega ed esisteva uno zoccolo duro del Ncd, che inizialmente aveva goduto dell’adesione dell’ex governatore Scopelliti. Per questi motivi, l’attenzione deve essere incentrata sopratutto sull’Emilia Romagna, dove gli esiti pongono obbligatorie riflessioni per i futuri scenari politici.
È innegabile il buon risultato della Lega, ma per una lettura senza facili entusiasmi si deve valutare anche l’effetto traino del candidato governatore e la lunga presenza sul territorio elettorale di Matteo Salvini, in concomitanza con una sua fortissima presenza televisiva. Non è pensabile che siano condizioni perpetuabili ad ogni giro di urne. Al cospetto di un’ottima percentuale, inoltre, gli elettori leghisti persi per strada negli ultimi cinque anni, avendo svuotato il granaio di Forza Italia, sono molti di più dei 55.000 ufficiali.
Proprio queste considerazioni fanno dubitare della bontà della strada finora percorsa da Fratelli d’Italia, unica formazione apertamente schierata a destra e presente alle elezioni, che non ha totalizzato neanche il 2% dei voti (la lista non era presente in provincia di Ravenna), non intercettando né il vecchio elettorato di An (nota bene: i due eletti di Forza Italia a Bologna e Modena sono ex aennini), né i delusi da Berlusconi, tanto meno gli incazzati. Addirittura, perdendo per strada quasi 40.000 cittadini che gli avevano dato fiducia appena sette mesi fa per le Europee.
Come mai, cavalcando gli stessi temi ed urlando le stesse parole d’ordine, i cittadini hanno scelto Lega? Certamente la sponda televisiva ha fatto un grosso favore a Salvini, ma è stato decisivo sopratutto il linguaggio utilizzato dal leader milanese, il tempismo nell’abbracciare alcune battaglie ed un evidente ‘menefrego’ per il politicamente corretto. La Lega viene premiata anche perché Salvini è visto come una novità, non solo per l’età ma sopratutto per non aver mai fatto parte dei governi berlusconiani. Inoltre, la Lega presenta in tv volti nuovi, alcuni anche giovani, oltretutto agguerriti quanto serve.
Da ‘destra’, invece, in televisione imperversano ancora Alemanno e La Russa, che, comunque la si pensi sulle persone, rappresentano il vecchio ed il berlusconismo. La sola Giorgia Meloni (pure lei col pesante marchio ‘exministeriale’) non riesce a canalizzare verso il suo partito il consenso personale che i sondaggi evidenziano. C’è, inoltre, la diffusa sensazione che FdI si sia accodata alle battaglie leghiste, dopo un iniziale sbandata ‘moderata’ di parte del vertice, che poi fu decisamente, ma tardivamente, bocciata nei gazebo delle ‘Primarie delle idee’. Segno di una classe dirigente esageratamente timida ed impigrita dalla lunga frequentazione del potere, nazionale e/o locale.
Accantonato l’entusiasmo leghista e la delusione dei Fratelli, mascherato da un incomprensibile discorso che parla di “tenuta elettorale”, arriva il momento di porsi il problema del ‘che fare?’.
Nel 2015 ci saranno altre importanti elezioni locali e non sono escluse le politiche. Per Lega e FdI si presenta un’occasione rara, un bivio che richiederà grande coraggio.
Per arrivare pronti all’appuntamento, la Lega dovrà completare il suo percorso di crescita politica, abbandonando slogan e propositi secessionisti, insulti e dileggi al sud d’Italia e pure qualche momento ‘folcloristico’, a costo di perdere qualcosa sul fronte più ‘celodurista’. Mentre Fratelli d’Italia dovrà accettare di riverniciare la ‘facciata del negozio’ per dar vita ad un nuovo movimento che raccolga altri rivoli sparsi della diaspora missina, che finora non sono rimasti affascinati dal progetto meloniano.
Ritengo impossibile (e pure dannosa) la fusione, infatti il dna di militanti e simpatizzanti è troppo diverso e non sono tanti quelli disponibili a dimenticare il Salvini comunista ed obiettore di coscienza, che canta “Bella ciao” o “Napoli colera”. Però, i due partiti insieme potranno provare a condizionare lo schieramento che si opporrà alla sinistra con le loro parole d’ordine su sovranità, immigrazione, sicurezza, preferenza nazionale, poteri finanziari ed Europa. Una coalizione non più semplicemente ed arcaicamente definita di centrodestra, ma sovranista o identitaria, nazionale o patriottica, scegliete voi.
Altrimenti, se finalmente mostreranno coraggio, potranno e dovranno andare da soli, aggregando sul programma altri movimenti sparsi nel territorio e recuperando quell’elettorato ‘destrorso’ che da molto tempo resta a casa o ha cercato rifugio nelle fila pentastellate. Una coalizione ‘neroverde’ che darebbe vita al ticket Salvini-Meloni (insieme totalizzano i 78 anni di Berlusconi) ed attraverso le pur abusate primarie potrà decidere chi sarà il vice, dando vita ad una massiccia e popolare precampagna elettorale che, grazie alla storia militante dei due partiti, non avrebbe precedenti.
(da “Il Talebano” – 27 novembre 2014)