Nonostante il Pci abbia chiuso bottega nel lontano 1991, i suoi eredi, fedeli alle origini, continuano a chiamarsi pubblicamente “compagno” e “compagna”, senza che nessuno (tanto meno la dirigenza del Pd, figuriamoci Avs e dintorni) abbia alcunché da ridire. Peraltro, i più ortodossi salutano ancora col pugno sinistro chiuso, sempre secondo la tradizione comunista, e nulla quaestio.
Ma se, sul fronte opposto, qualcuno osa utilizzare il termine “camerata” (in questo caso seguendo la tradizione missina, dalla quale anche tanti dirigenti di Fratelli d’Italia provengono) pavlovianamente scatta la protesta delle ‘guardie rosse’ che, agitando il libretto della Costituzione, invocano l’antifascismo e conseguenti severe punizioni ‘democratiche’, che possono spaziare dalla privazione di qualsiasi diritto all’obbligo di inginocchiarsi sui ceci. E fin qui basterebbe farli agitare, a volte schiumanti, senza curarsi di loro.
Invece, dimostrandosi vittima inconsapevole della netta sconfitta nella ‘guerra delle parole’, scatta addirittura la sanzione, seppure blanda (e vedremo come andrà a finire…), ordita da una dirigenza che, in preda ad un ingiustificato panico, diventa più realista del re. Stesso discorso si potrebbe fare non tanto per il ‘saluto romano’, che ha una lunga tradizione di repressione giudiziaria, ma per il ‘saluto legionario’. L’ingiustificato panico è il medesimo.
Insomma, per farla breve, a lor signori non solo tutto è concesso (appellativi e saluti sono semplici ma significativi esempi), bensì costoro vorrebbero anche decidere, e stabilire giuridicamente, come si possono appellare e salutare i sodali altrui.