E’ stato sfornato in piena campagna elettorale. “La destra in cammino. Da Alleanza nazionale al Popolo della libertà” è l’ultima fatica (in senso letterale, se si considera la rapidità nel produrre questo corposo lavoro editoriale: 322 pagine) di Alessandro Campi, professore associato di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia e – dato politicamente più rilevante – direttore scientifico della Fondazione Farefuturo. Può essere definito a pieno titolo il prontuario del ‘pidiellino by An’.
Alcune righe dell’introduzione chiariscono subito il senso del volume («Quelle del 13 e 14 aprile potrebbero essere elezioni storiche»), fortificato dall’imprimatur del recensore Luciano Lanna (sul Secolo d’Italia, quotidiano di An da lui diretto): «l’appuntamento elettorale di domenica rappresenta un oggettivo punto di non ritorno». Un lapidario concetto al fine di disilludere qualche speranzoso militante: la scomparsa del partito non può essere messa in discussione da qualcuno (sparuti oppositori interni) o da qualcosa (eventuale sconfitta elettorale). E se qualcuno dei lettori – con tessera di An ben conservata in tasca, tipo cimelio – non avesse capito gli avvenimenti di questi ultimi tre mesi, il Direttore elogiando il volume ribadisce perentorio che il ‘motu proprio’ finiano «di confluire nel nuovo grande contenitore del Pdl» è stato «necessario e coerente».
Insomma, è tutto già deciso, perciò è legittimo chiedersi quale ruolo avrà il congresso previsto per l’autunno, se non quello di una sontuosa kermesse di scioglimento e confluenza.
Gli scienziati della politica sono veramente imprevedibili. Nel caso in esame, da ‘gosthwriter’ – ma soprattutto ‘gosththinker’ – del ‘dominus’ cerca di dipingere a tinte rosa (o, se preferite, azzurre) lo scenario politico che si prefigura. Talmente abile da far miracolosamente ricomparire – questa volta però dal versante dove meno te l’aspetti – una perfida e pericolosa teoria, dove chi si richiama all’identità diventa fautore di un «ghetto fatto, più che di programmi e di proposte minimamente plausibili, di simboli del passato, di appelli ai valori e di parole d’ordine altisonanti ed evocative». Complimenti per l’originalità della tesi, professor Campi. Ho il sospetto di aver sentito queste parole già negli anni ’70, quando mi avvicinai alla politica militante, con tutte le conseguenze che chi c’era può ricordare perfettamente.
Il presupposto obbligato è che anche la famiglia missina, con quelle comunista, socialista e democristiana avrebbero «largamente esaurito il ciclo vitale, implose sotto il peso dei loro fallimenti non hanno retto l’impatto con le trasformazioni della storia ovvero si sono dimostrate incapaci di rispondere alle nuove sfide politiche». Ecco perché – attraverso un lungo percorso di elaborazione di «un profilo culturale davvero innovativo rispetto a quello di partenza» – il volume cerca di spiegare come il progetto PdL sia la «grande politica», la novità che rappresenta «un’opportunità per molti versi unica», «un’occasione d’oro per chiunque voglia fare politica partendo non dai proclami, ma dalle idee». Per chi non l’avesse ancora intuito, in questo progetto «hanno contato il buon senso e il realismo politico», la volontà di «aprirsi verso nuovi orizzonti mentali e spaziali». Non la volontà ‘predelliana’ di Berlusconi al fine di supersemplificare lo scenario ed essere così sempre più ‘dominus’ incontrastato della politica e della legislazione nazionale.
Campi parla di una destra (chissà se si potrà chiamare ancora così, visto che il Cavaliere dice ben altro e lo stesso autore paventa una «uscita della destra dalla scena politica nazionale») che ha l’occasione «di dare corpo e concretezza alle ambizioni egemoniche che An ha manifestato sin dalla nascita». Non conta, perciò, che per realizzare finalmente questo predominio agognato si rinunci alla storia, all’identità, al simbolo, si rettifichi la propria collocazione, si perpetuino ripensamenti, abiure e pentimenti, si adotti la strategia del ‘minestrone insipido’.
E’ sufficiente un po’ di marketing politico spinto, avviato dopo una precisa ed attenta indagine di mercato, con l’obiettivo di superare «una volta per tutte le idiosincrasie, i riflessi condizionati, le chiusure comportamentali e gli automatismi mentali ereditati dalla tradizione missina, che sinora avevano impedito ad An di aprirsi a un rapporto costruttivo ed egemonico con importanti settori della società italiana».
Mentre, ovviamente, è retrogrado, gretto, zoticone, «vittima inconsapevole di una vera e propria trappola mentale» chi la pensa e la immagina diversamente.
Non è generoso limitarsi alle critiche. Perciò, è da apprezzare lo sforzo di Campi per conciliare, armonizzare, rendere perfettamente coerente il passato dei tanti protagonisti con questo nuovo percorso politico ed ideologico. Tanto da spingersi ad ispirare aperture al multiculturalismo, all’immigrazione e nel rapporto con le religioni. Ma questo verrà dopo, prima necessita un’altra indagine di mercato.
C’è un dato su cui riflettere ulteriormente. Come mai tutti gli intellettuali di prima fila del versante destro – mi riferisco a quelli che contano, che scrivono tanto, che pubblicano, che hanno vetrine importanti, che fanno opinione – sono tutti entusiasticamente consenzienti al nuovo corso finiano? Forse, sono già seduti alla tavola imbandita del PdL e hanno la memoria corta?

Faber

P.S. = Come per ogni regola, c’è la debita eccezione: Marcello Veneziani che, essendo editorialista di punta di “Libero” (quotidiano sincero sostenitore del PdL), durante la campagna elettorale è stato (o si è) silenziato…

2 pensiero su “Tutti allineati: la tavola è imbandita”
  1. ciao collega faber! come ti è andata col non-voto utile?
    quelli che ho votato io non hanno manco passato lo sbarramento .. però il loro leader si è dimesso. e almeno di questo fa piacere.
    fa piacere sentire cose coerenti in campagna elettorale e vedere azioni coerenti dopo una sconfitta.
    … seriamo che almeno in paese vinca la candidata sindaca che ho votato 🙂
    ciao!

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